Benedetta Chiari

Soffio al ricordo, 2021

Stampa fine art su carta Hahnemühle, 50 × 18,13 cm

Il progetto è legato al concetto di abbandono e ricordo intorno alla città di Fucecchio. Marc Augé, nel suo libro Rovine e Macerie. Il senso del tempo (2004), parla dello spettacolo della rovina come innesco di una sensazione di straniamento, e spesso di strana familiarità. Il paesaggio delle rovine non riproduce alcun passato nella sua totalità, ma allude a una molteplicità di passati e dà alla natura un segno temporale: la natura, che si riappropria di questi luoghi, finisce per destoricizzarli, attirandoli verso l’atemporalità. Le rovine tornano a essere pietra, perdendo la lucentezza imposta dall’uomo, e il paesaggio che ne risulta, ha formalmente l’aspetto di una memoria. Oggi, la riorganizzazione del territorio e l’espansione del tessuto urbano eliminano i recessi di un paesaggio più frammentato e intimo, e l’uomo ha bisogno di questi paesaggi per ritrovare quella memoria che, a causa dell’accelerazione della società contemporanea, sta perdendo le sue fondamenta. Oggi gli edifici non sono più costruiti per invecchiare nella logica dell’eterno presente e queste ricostruzioni e sostituzioni eliminano il passato. Tra Benedetta Chiari e l’opera d’arte si è stabilito un rapporto temporale, un viaggio come epifania di un memento mori. In questo viaggio, ha raccolto elementi naturali da questi paesaggi che successivamente hanno subito un processo di combustione. Una volta bruciate, queste nature morte mantengono per qualche istante una forma compatta molto fragile, una forma che si riferisce alla precarietà della nostra consapevolezza interiore all’interno dell’attuale frenesia quotidiana. Dalle ceneri ha preso la lignite per tracciare un segno, un pensiero dedicato a questi luoghi. Anche il segno, con il tempo, perderà consistenza e corpo, lasciando una flebile traccia sulla superficie.

Cartina Comune di Fucecchio e frazioni

Soffio al ricordo, 2021

Video, colore, suono, 10’16”

Stampe fine art su carta Hahnemühle, ognuna 50×18,13 cm; lignite su carta Rosaspina, ognuno 50 x 30 cm

Lignite su carta Rosaspina, ognuno 50 x 30 cm

Memorie di cenere, 2021

Video, colore, suono, 1’35”

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Intervista

Dal nostro punto di vista, parlare di perenne attualità significa parlare della nostra percezione del tempo, della storia e delle interazioni umane. Dato che abbiamo considerato questo progetto come un dibattito collettivo, ci piacerebbe conoscere anche la tua opinione. Qual è la tua idea di perenne attualità? E come hai voluto rappresentare questa idea nell’opera che hai presentato in mostra? 

La mia idea di perenne attualità è legata a un rallentamento del pensiero e, di conseguenza, del tempo. Il progetto vuole uscire dalla frenesia del quotidiano per ritrovare un’immagine a tratti sconosciuta, a tratti familiare. Sono visioni dell’esperienza comune che ci sfuggono, paesaggi in lento decadimento che in questa ricerca si convertono nel ruolo di protagonisti. Nel ripercorrere ripetitivamente le strade che collegano queste strutture ho instaurato un dialogo con la città in cui vivo che esce dalla visione consueta. Ho ricostruito un paesaggio interiore che riflette la mia esperienza del contemporaneo, in ricerca di un tempo lento e lontano.

Siamo tutti la somma delle nostre esperienze, che modellano la nostra personalità e la nostra percezione. In che modo la tua storia personale influenza le tue opere e come l’hai inserita in questo progetto? 

Sono molto legata a Fucecchio, vivo qui da sempre. Ma nonostante questo sentivo di non conoscerla abbastanza. Ultimamente sono alla ricerca di storie che possano raccontare la città da punti di vista diversi; questi edifici mi hanno raccontato tanto, di Fucecchio e di me stessa.

In questi tempi pandemici, la centralità della tecnologia e la ridefinizione del nostro spazio personale, hanno portano a vivere e concepire diversamente l’intimità e la mancanza di essa. Come descriveresti oggi la tua percezione dell’intimità, delle relazioni e delle connessioni odierne?

Dal mio punto di vista molti legami si sono indeboliti in questa situazione, altri certamente rafforzati. Il tempo che abbiamo avuto a disposizione con noi stessi è aumentato esponenzialmente, e questa è stata una delle prove più dure da affrontare. La frenesia del quotidiano ci aveva fatti allontanare da noi stessi, non avevamo più tempo di guardare dentro. Ritrovarsi improvvisamente a fare i conti con la nostra persona ha stravolto il modo di relazionarci con noi stessi e con gli altri. Questo concezione diversa dell’intimità non è tanto dovuta, a mio parere, alla tecnologia che pervade le nostre giornate, ma piuttosto da un confronto diretto con un riflesso che non avevamo da tempo.

Quale pensi sia la reazione del pubblico dopo aver visto il tuo lavoro in questo spazio digitale? Come pensi che questo infinito consumo di contenuti digitali stia influenzando la produzione e la fruizione delle opere d’arte? Pensi che le mostre virtuali continueranno ad essere un possibile strumento per presentare le tue opere in futuro?

Le persone che vedranno questo lavoro avranno a disposizione una cartina in formato pdf che potrà essere fruita per visitare fisicamente questi luoghi. L’obiettivo è quello di ricreare un percorso di valorizzazione di questo “sentiero” che può restituire una visione della memoria di questa città. Una memoria che stiamo perdendo continuamente. Penso che non basti fruire le opere d’arte via web, anche se la situazione odierna ci rende dipendenti da un continuo consumo sempre più veloce di contenuti. Ci sembra infatti più conveniente, a livello di tempo, poter consultare molteplici siti, comodi dal proprio divano o ovunque ci troviamo, ma non credo che questo sia completamente sufficiente al ruolo dell’arte. Certamente ci stiamo muovendo in questa direzione, e la pandemia ha rafforzato questa idea e l’ha innescata dentro le nostre abitudini. Secondo me dovremo fare tutti un passo indietro e ricominciare a visitare fisicamente le mostre, appunto, distoglierci da questa fretta, di ritrovare il proprio tempo. Ormai la frase che caratterizza le vite di oggi è proprio “non ho tempo”.

Bio

Benedetta Chiari (1998, San Miniato) è da sempre legata al disegno e tutto ciò che prevede la manualità. Ha frequentato il Liceo Scientifico G. Marconi di San Miniato abbandonando per un breve periodo il disegno e la dedizione artistica. Ha riscoperto questa passione in quarta liceo, momento in cui ha deciso di continuare gli studi all’Accademia di Belle Arti di Firenze dove ha ottenuto la prima laurea Triennale del corso di Decorazione. Attualmente le sue ricerche proseguono al Biennio di Arti Visive Nuovi Linguaggi Espressivi, scuola di Decorazione. Le tecniche privilegiate sono la ceramica, tecnica mista di materiali di recupero e pittura. Le ricerche sperimentali spaziano tra rapporto estetico e scientifico e sono in continua evoluzione grazie all’introduzione di nuovi materiali che si legano al concetto di Superficie. Ogni progetto intende scovare un’origine, un rapporto diverso con la materia che nell’opera si trasforma per assumere un significato altro. I materiali d’indagine privilegiati sono quelli quotidiani, i quali vengono interiorizzati da ciascuno di noi integrandosi con la nostra persona. La superficie, oltre a sollecitare gli organi della vista, interessano anche il tatto. Infatti le ultime opere sono pensate in rapporto con lo spettatore che entra come protagonista all’interno dell’opera lasciando tracce del suo passaggio.