Léa Colombier
Love’s Alternation, 2020
Love’s Alternation, 2020
Love’s Alternation di Léa Colombier raffigura quella che sarebbe una relazione d’amore in un mondo post-apocalittico. Il film di fantascienza si svolge in un ambiente che non esiste ancora, privato di qualsiasi tipo di essere vivente eccetto di quello degli esseri umani e dei parassiti. In seguito, il video narra di come la specie umana si innamori di quella dei parassiti, in quanto ultima dimostrazione di relazione tra umani e animali in un mondo totalmente deserto.
Dal nostro punto di vista, parlare di perenne attualità significa parlare della nostra percezione del tempo, della storia e delle interazioni umane. Dato che abbiamo considerato questo progetto come un dibattito collettivo, ci piacerebbe conoscere anche la tua opinione. Qual è la tua idea di perenne attualità? E come hai voluto rappresentare questa idea nell’opera che hai presentato in mostra?
Perenne attualità è una qualcosa consegnato all’infinito, dal quale non c’è scampo, sempre identico nei suoi elementi e leggi, che crea, distrugge, rinnova inesauribilmente, senza inizio, senza fine e, di conseguenza, senza meta. Love’s Alternation introduce un viaggio immaginario dal nostro presente al futuro prossimo. Non è un lancio nello spazio, ci spostiamo nel tempo non in un altro pianeta. Presenta due dimensioni nel tempo, quella della memoria, della nostalgia, e quella delle nuove possibilità per un futuro. Il video mostra uno scenario post-apocalittico dove il paesaggio terrestre è desolato. C’è una figura sconosciuta che ci permette di prendere coscienza dei disastri dell’Antropocene e del Capitalocene. Questo lavoro offre un’esperienza poetica e nostalgica che risuona con le preoccupazioni contemporanee come la solitudine come fenomeno sociale, e la resilienza, la sopravvivenza, in relazione al nostro rapporto con la natura. Come affrontare la solitudine su una terra devastata è una delle questioni che il video vuole mostrare. Il lavoro è stato concepito durante un periodo di reclusione in cui siamo stati costretti a stare in un ambiente chiuso affrontando nuovi problemi, la privazione di esperienze che definiscono ciò che è essere umani, come uscire, toccare gli altri, essere toccati. Poiché siamo esseri tattili, fisici e sociali, bisogna trovare nuove alternative come nel mio lavoro fantascientifico. Ho sempre avuto una curiosità per le cose inspiegabili, i disturbi seducenti del comportamento umano, come la parafilia, che sorprendono la mente, i sensi e il sensato. Ho una grande ammirazione per il cinema di fantascienza della New Hollywood, dove i film offrono una visione poetica della nostra specie, in climi pessimistici e oppressivi, dove il concetto e la narrazione del film hanno un aspetto di bellezza e filosofia. Da qui la grande domanda: cosa resterà della nostra civiltà umana in un futuro lontano? Questo è ciò che cerco di rappresentare nel mio lavoro, studiando quella che sarà l’archeologia del futuro.
Siamo tutti la somma delle nostre esperienze, che modellano la nostra personalità e la nostra percezione. In che modo la tua storia personale influenza le tue opere e come l’hai inserita in questo progetto?
Direi che oggi ci sono due mondi paralleli, il mondo fisico del reale e il mondo digitale. È un nuovo modo di vivere, è un nuovo mondo che si annuncia, genera finzione, con il digitale si parte da una realtà che non esiste, e questo porta alla confusione. Se pensiamo ai ricercatori del futuro, sarà difficile vedere quale parte della nostra civiltà rimarrà, questi “tecno-fossili” come potremmo chiamarli. Attraverso la realtà virtuale, dove lo spettatore è guidato, segue l’evoluzione di una forma di un ricordo, può vedere e rivedere, e impegnarsi con il concetto di quel qualcosa che si rinnova costantemente, e che attraversa all’infinito.
In questi tempi pandemici, la centralità della tecnologia e la ridefinizione del nostro spazio personale, hanno portano a vivere e concepire diversamente l’intimità e la mancanza di essa. Come descriveresti oggi la tua percezione dell’intimità, delle relazioni e delle connessioni odierne?
Penso che la cosa più importante per gli artisti in questo momento è che in questo mondo digitale, è importante aprire una breccia di bellezza, sensibilità e intelligenza.
Quale pensi sia la reazione del pubblico dopo aver visto il tuo lavoro in questo spazio digitale? Come pensi che questo infinito consumo di contenuti digitali stia influenzando la produzione e la fruizione delle opere d’arte? Pensi che le mostre virtuali continueranno ad essere un possibile strumento per presentare le tue opere in futuro?
Voglio che riflettano sugli incontri tra i desideri personali e le forze naturali. Le possibilità di comunicazione tra i mondi e i mezzi con cui si genera la conoscenza, in assenza di prove o attraverso l’impossibilità di raggiungere l’oggetto di indagine, dando loro un’ipotesi di ciò che potrebbe essere una nuova e sconosciuta forma di vita. Le mostre virtuali sono presenti, sono ormai vive e fanno parte del nostro ambiente, come una delle grandi mutazioni della nostra società contemporanea. Un modello creato per il pubblico può essere vissuto in un modo nuovo, che sia visivo, sensoriale, sonoro, elettronico, virtuale e immersivo, la sua diffusione può estendersi dalla performance dal vivo, al grande spazio digitale. Abbracciando la tecnologia per le mostre del futuro e soprattutto dirottandola, le nostre percezioni dello spazio, del tempo e di noi stessi influenzano le nostre relazioni in questo nuovo mondo mutevole.
Léa Colombier (1996, Clermont-Ferrand, Francia) è un’artista visiva francese che esplora mondi fittizi post-apocalittici che si trovano a metà strada tra gli studi etnografici e la fantascienza. Ha studiato teatro presso Le cours Peyran Lacroix, letteratura classica all’Università Sorbona, e si è laureata in fotografia all’Istituto Speos sempre a Parigi, dove ha esposto durante la prima settimana di Les rencontres d’Arles. Nel 2018, Colombier inizia il corso di Multimedia Arts all’Istituto Marangoni Firenze.