X2013Ω, 2021
X7280Ω, 2021
Doppia esposizione e post-produzione, 79 x 39 cm
I progetti di Stefano trattano principalmente dell’umanità nella sua pienezza ed espressività, focalizzandomi su tematiche legate alla cultura LGBTQIA+. La tematica della crisi identitaria dell’uomo e della lotta perenne tra sfera pubblica e privata prende vita negli autoritratti dell’artista. Il dissidio identitario è reso dalle fotografie di Stefano attraverso scatti a lunga esposizione accompagnati da chiaroscuri e forti contrasti, donando una patina di rumore e movimento all’esperienza umana. Ognuna delle sue fotografie rappresenta un evento specifico nella vita dell’autore, legando indissolubilmente l’esperienza personale dell’artista con la crisi identitaria dell’individuo contemporaneo.
X3016Ω, 2021
Doppia esposizione e post-produzione, 79 x 39 cm
X4598Ω, 2021
Doppia esposizione e post-produzione, 79 x 39 cm
X2016Ω, 2021
Doppia esposizione e post-produzione, 21 x 32 cm
X2008Ω, 2021
Doppia esposizione e post-produzione, 21 x 32 cm
X2005Ω, 2021
Doppia esposizione e post-produzione, 22 x 32 cm
Intervista
Dal nostro punto di vista, parlare di perenne attualità significa parlare della nostra percezione del tempo, della storia e delle interazioni umane. Dato che abbiamo considerato questo progetto come un dibattito collettivo, ci piacerebbe conoscere anche la tua opinione. Qual è la tua idea di perenne attualità? E come hai voluto rappresentare questa idea nell’opera che hai presentato in mostra?
Ho voluto affrontare il tema della crisi d’identità dell’umanità nella “tarda modernità”, che consiste nella perpetua sensazione di crisi e precarietà dal punto di vista dell’identità. Il modo in cui mi sono ritratto, la post-produzione, la tavolozza di colori per queste immagini rafforzano il concetto espresso prima e sono davvero evocativi dei miei sentimenti verso questa vita incerta e la mia perenne identità indefinita e la posizione nella società e nel sistema odierno.
Siamo tutti la somma delle nostre esperienze, che modellano la nostra personalità e la nostra percezione. In che modo la tua storia personale influenza le tue opere e come l’hai inserita in questo progetto?
Non mi sono mai sentito rispettato per la mia umanità, considerando l’attuale status quo della società italiana di oggi. Quello che ho vissuto ha sicuramente plasmato ogni centimetro di me stesso. Ogni opera ha come titolo una serie di numeri, che corrispondono ad un momento esatto della mia esistenza che ha cambiato la mia esistenza. Non si può vedere in essi di cosa sto parlando o a cosa mi riferisco, ma si può vedere ciò che ogni evento ha prodotto in termini di sentimenti, un minimo comune denominatore: la perenne incertezza.
In questi tempi pandemici, la centralità della tecnologia e la ridefinizione del nostro spazio personale, hanno portano a vivere e concepire diversamente l’intimità e la mancanza di essa. Come descriveresti oggi la tua percezione dell’intimità, delle relazioni e delle connessioni odierne?
Direi che in realtà questa mancanza è stata esaltata non da Covid ma dai Social Media, che considero l’esatta trascrizione digitale di una vera e propria pandemia, che tocca la nostra società nella realtà a tanti livelli. Il fatto che la considerazione di noi stessi e della nostra credibilità possa basarsi sul potenziale livello di branding digitale della nostra personalità e che tutto sia deciso da un algoritmo mi fa infuriare. La qualità della mia vita può essere divisa in due parti: prima e dopo la dura digitalizzazione della comunicazione interpersonale di oggi.
Quale pensi sia la reazione del pubblico dopo aver visto il tuo lavoro in questo spazio digitale? Come pensi che questo infinito consumo di contenuti digitali stia influenzando la produzione e la fruizione delle opere d’arte? Pensi che le mostre virtuali continueranno ad essere un possibile strumento per presentare le tue opere in futuro?
Non so cosa penserà la gente, ma è un peccato che non ci sarà l’occasione di mostrarle nella realtà, considerando che la percezione dell’arte e la sensazione che può darci è diversa nella realtà rispetto al guardare i pixel. Oltre a questo, presentare i miei lavori in digitale andrà bene, perché l’essenza di essi sarà in ogni caso mostrata indipendentemente dal mezzo che verrà utilizzato.
Bio
Stefano Labate (1994, La Spezia) ha avuto una formazione prettamente artistica, iniziata con il Liceo artistico (specializzazione in grafica) per poi continuare con l’Accademia Italiana studiando fotografia durante il triennio fino al 2016. Nello stesso anno ha partecipato a una collettiva organizzata dall’accademia stessa nella quale ha esposto lavori prettamente autoriali, focalizzati sul linguaggio moda. Successivamente, dopo quasi quattro anni di lavoro e formazione a Berlino (studiando comunicazione grafica), ha deciso da quest’anno di trasferirsi nuovamente a Firenze e continuare il suo percorso formativo con il biennio di specialistica in grafica sempre all’Accademia Italiana. Il suo percorso artistico ed autoriale consiste da sempre sulla continua ricerca sperimentale attraverso la contaminazione dei linguaggi espressivi e dei concetti a loro annessi.