Marco Peroni

Immunity, 2021

Still da video

Immunity parla dell’insostenibilità del modello di sviluppo umano, delle tracce che l’homo sapiens ha portato, porta e porterà sul pianeta; ci stiamo avvicinando sempre più al punto di non ritorno. È l’idea stessa di sviluppo che è sbagliata: non tende a nessun equilibrio, ma solo a una crescita economica costante e incessante a scapito del pianeta, della biodiversità e dell’uomo stesso. Il pianeta viene danneggiato da coloro che dovrebbero difenderlo, proprio come un corpo umano viene attaccato dal suo stesso sistema immunitario.

Video, colore, suono, 1’46”

Interview

Dal nostro punto di vista, parlare di perenne attualità significa parlare della  nostra percezione del tempo, della storia e delle interazioni umane. Dato che abbiamo  considerato questo progetto come un dibattito collettivo, ci piacerebbe conoscere  anche la tua opinione. Qual è la tua idea di perenne attualità? E come hai voluto  rappresentare questa idea nell’opera che hai presentato in mostra? 

Secondo me parlare di perenne attualità significa indagare quel che è intrinseco all’uomo. Mi interessa ciò  che è inscindibile dall’essere umano perché è ciò che ci distingue dalle altre specie viventi.  Collegando con un filo le caratteristiche che accomunano tutti gli uomini e le donne di ogni era storica,  si otterrà il ritratto dell’homo sapiens. Per questo progetto ho scelto quella che probabilmente è una delle  più evidente, quella che ci ha permesso di evolverci sino alla situazione odierna, ma anche quella che  ha le conseguenze peggiori ovvero il sistema di sviluppo umano, la capacità di colonizzare ogni angolo  della terra e di adattare l’ambiente circostante al nostro bisogno. La terra è sempre più vicina al punto  di non ritorno climatico e l’uomo, autoproclamato governatore e custode del pianeta, non sa come agire.  Qualunque cosa fa o propone risolve parte dei problemi ma ne crea altri. Per questa mostra ho cercato di usare immagini del pianeta ripreso dal satellite dove fossero evidenti le  impronte della presenza dell’uomo, talvolta cambiando luogo e talvolta anno, e le ho messe in sequenza in  modo che fosse evidente la rapidità in cui vengono apportate queste modifiche. 

Siamo tutti la somma delle nostre esperienze, che modellano la nostra personalità e  la nostra percezione. In che modo la tua storia personale influenza le tue opere e come  l’hai inserita in questo progetto? 

Abito di fronte a un ghiacciaio e ogni primavera, quando la neve si scioglie, affiorano rocce che erano sotto il ghiaccio fino all’anno precedente. Questo è il mio personale campanello che ogni giorno mi ricorda le  conseguenze del nostro stile di vita. Tra le immagini ho inserito città che si espandono velocemente come Shanghai e Los Angeles e città come Tokyo, che costantemente demolisce e ricostruisce edifici. Ho incluso colture intensive, dighe idroelettriche, deserti che si espandono, foreste abbattute, barriere coralline e strade  carrabili. Ho scelto anche l’isola di Pasqua perché, essendo un sistema chiuso, secondo molti esperti ha  già vissuto in piccolo ciò che avverrà su tutta la terra per incremento e decremento della popolazione, per  conflitti e sfruttamento estremo di risorse. Ovviamente anche immagini di casa mia, perchè anche io faccio  parte di questo sistema che non funziona. Infine ho aggiunto immagini delle “isole di plastica” che sono il  monumento allo spreco del nosto sistema di sviluppo.

In questi tempi pandemici, la centralità della tecnologia e la ridefinizione del  nostro spazio personale, hanno portano a vivere e concepire diversamente l’intimità e  la mancanza di essa. Come descriveresti oggi la tua percezione dell’intimità, delle  relazioni e delle connessioni odierne? 

L’uomo è un “animale sociale”. Oggi siamo molto più consapevoli di noi stessi, di ciò che ci circonda, del  bisogno di equilibrio tra intimità e socialità. Tutto tornerà come prima eppure niente sarà più come prima,  la differenza sarà in come vedranno i nostri occhi e da cosa vorranno vedere. 

Quale pensi sia la reazione del pubblico dopo aver visto il tuo lavoro in questo  spazio digitale? Come pensi che questo infinito consumo di contenuti digitali stia  influenzando la produzione e la fruizione delle opere d’arte? Pensi che le mostre  virtuali continueranno ad essere un possibile strumento per presentare le tue opere in  futuro? 

Lo scopo di questo progetto è fare riflettere sul sistema di sviluppo umano tramite immagini oggettive,  senza alcuna manipolazione, che mostrano le conseguenze del nostro stile di vita. È difficile immaginare come evolverà il mio rapporto con le nuove tecnologie; ciò che è certo è che ho provato, e spesso  apprezzato, possibilità che senza la pandemia non avrei mai preso in considerazione. Penso che le mostre  virtuali siano un mezzo per trasmettere a più persone possibili i nostri punti di vista. Le esposizioni online permettono di concepire opere nuove che altrimenti non sarebbero state ideate, esposte e fruite: questo  progetto ne è un esempio.

Bio

Marco Peroni (1986, Milano)  frequenta il liceo artistico di Giussano con indirizzo figurativo e, in seguito, un corso di orologiaio riparatore. Nel 2013 ha comprato, la mia prima reflex, una Canon D40. Negli anni è fiorita la passione per l’immagine fotografica; il bisogno di esprimersi e comunicare lo ha portato a iscriversi nel 2018 al corso triennale di Fotografia e New Media presso la Fondazione Studio Marangoni di Firenze. La fotografia gli permette di trasmettere al mondo esterno il suo punto di vista sfruttando ciò che è sotto gli occhi di tutti. Crea immagini fotografiche composte da tutto quel che percepisce e lo colpisce, con ciò che dalla retina arriva fino alla pancia.