Che dura tutto l’anno… Tutti gli anni, 2021
300 articoli di giornale trascritti e stampati su fogli di carta in A4, bilancia a bracci di ferro (XIX sec.), 90 x 62 cm
Nell’etimologia della parola perenne si nasconde uno spostamento di senso secolarizzato: il suo signifIcato è infatti mutato nel tempo dall’annuale al sempiterno. È lo stesso percorso della violenza nella società: in Che dura tutto l’anno… Tutti gli anni l’artista ha raccolto un dossier di trecento articoli di cronaca riguardanti la violenza sessuale. La bilancia a bracci con un solo piatto, ancestrale simbolo di giustizia storicizzato, diventa un veicolo di denuncia contro la perpetuità della violenza. Una perpetuità difficile da azzerare, che sopravvive a mutamenti sociali, politici e storici.
Intervista
Dal nostro punto di vista, parlare di perenne attualità significa parlare della nostra percezione del tempo, della storia e delle interazioni umane. Dato che abbiamo considerato questo progetto come un dibattito collettivo, ci piacerebbe conoscere anche la tua opinione. Qual è la tua idea di perenne attualità? E come hai voluto rappresentare questa idea nell’opera che hai presentato in mostra?
Ciò che si è creato nei secoli è difficile che cessi di esistere da un momento all’altro. Perenne attualità è quello che accade e ci segna come persone sociali. Che vivono la società, che vivono nella società e, la società vive, nel suo cambiamento, tramite noi. Tramite l’arte, che non ha bisogno di parlare per essere ascoltata. È l’unico mezzo per rendere visibile l’importanza di queste violenze messe a tacere. Abbiamo bisogno di fare giustizia, di renderci conto che queste violenze ci riguardano in quanto persone e sono lo specchio di una società violenta e corrotta, che tace da sempre difronte a questa realtà. Che si dimentica… spesso chiude gli occhi e non lascia parlare. Nella realizzazione della mia opera, mi sono ispirata alla parola perenne, che percepisco come qualcosa di molto pesante. Nasce così la mia ricerca sul peso, sulle parole e sulla violenza. La parola perennis ha origine ormai da lunghi secoli nella suggestione che qualcosa che dura da sempre dura tutto l’anno, tutti gli anni. Come il ripetersi di queste ingiustizie.
Siamo tutti la somma delle nostre esperienze, che modellano la nostra personalità e la nostra percezione. In che modo la tua storia personale influenza le tue opere e come l’hai inserita in questo progetto?
Tutti i miei lavori sono parte di me e definiscono la sensibilità con cui percepisco il mondo, nelle sue sfumature. Il tema che ho affrontato con la mia installazione, mi tocca particolarmente ed è un una realtà che vive dentro di me in modo costante. È una paura perenne, quasi un tormento e poterla esprimere nella mia installazione mi ha dato modo di poterla affrontare. Ho lavorato sul peso. Il peso comune e perenne della violenza. In particolare modo al peso dello stupro che è un peso che non ha genere, che esiste da sempre e che dura ancora, purtroppo.
In questi tempi pandemici, la centralità della tecnologia e la ridefinizione del nostro spazio personale, hanno portano a vivere e concepire diversamente l’intimità e la mancanza di essa. Come descriveresti oggi la tua percezione dell’intimità, delle relazioni e delle connessioni odierne?
Se penso a questa violenza, penso al peso che le vittime si portano con sé ogni singolo giorno. E molte di queste non hanno nemmeno la possibilità di denunciare o di essere ascoltate. Molte di queste parole vengono minimizzate, nascoste da una società che non vuole ascoltare. Ho pensato alle vittime e a rendere giustizia alle loro voci, dimenticate, nel continuo fruire delle informazioni. Mi riguarda in quanto donna, mi riguarda in quanto persona, stanca del sistema violento e corrotto della nostra società, che non cessa di esistere. Bisogna far venire fuori quelle voci per accorgerci di quanto pesano.
Quale pensi sia la reazione del pubblico dopo aver visto il tuo lavoro in questo spazio digitale? Come pensi che questo infinito consumo di contenuti digitali stia influenzando la produzione e la fruizione delle opere d’arte? Pensi che le mostre virtuali continueranno ad essere un possibile strumento per presentare le tue opere in futuro?
La situazione pandemica affrontata nell’ultimo anno ha sicuramente portato a vivere determinate esperienze in modo differente rispetto ad una situazione di precedente normalità. Internet è stato vissuto come un appiglio di svago alla “nuova” normalità che siamo stati costretti a vivere; ma soprattutto la sua utilità è stata di sostegno nelle comunicazioni online. La perdita di uno scambio sano di relazioni è certa, ma bisogna anche riconoscere che oggi, internet ci definisce e il consumo digitale è diventato pane dei nostri denti. La pandemia ha solo amplificato il suo uso. Internet è ormai come una nostra estensione e la sua centralità ha ridefinito il nostro spazio personale. L’arte riesce a sopravvivere sempre, proprio perché è la sensibilità dell’artista che la produce a farsi sentire e la situazione di chiusura forzata ha prodotto grandi pensieri traducibili in arte. L’intimità delle relazioni e delle connessioni odierne non ha cessato di esistere, semplicemente vive nel cambiamento e si manifesta diversamente in base alla sensibilità di ognuno di noi.
Quale pensi sia la reazione del pubblico dopo aver visto il tuo lavoro in questo spazio digitale? Come pensi che questo infinito consumo di contenuti digitali stia influenzando la produzione e la fruizione delle opere d’arte? Pensi che le mostre virtuali continueranno ad essere un possibile strumento per presentare le tue opere in futuro?
Ritengo che l’opera d’arte abbia bisogno di essere vissuta. Poter visitare una mostra d’arte è una delle cose che preferisco al mondo e potermi fermare di fronte a ogni singola opera, per minuti, ore… mi fa sentire infinita, connessa alla dimensione spirituale dell’opera stessa e alla realtà di chi l’ha prodotta. Mi si apre un mondo, fatto di immensa bellezza e consapevolezza. L’infinito consumo di contenuti digitali ci permette però di aprirci a nuove possibilità, come in questo caso, di poter comunque esporre, in uno spazio espositivo virtuale. E secondo me il mantenimento di mostre virtuali come possibile strumento espositivo futuro, dovrebbe mantenersi in concomitanza di quelle dal vivo. Sia in favore di chi non ha mezzi o strumenti ideali per visitare una mostra dal vivo, sia per chi, dopo la visita vuole entrare più a fondo in diversi aspetti relativi alle opere esposte e poterle osservare nel dettaglio. L’arte vive nel cambiamento e non può far finta che non esista l’era digitale in cui stiamo immersi. Questo continuo consumo di contenuti digitali è un meccanismo inconscio che influenza anche l’arte e la sua produzione, ma non è per forza una cosa negativa, l’artista deve accogliere questa dimensione, per espandere il proprio linguaggio. Il rifiuto del cambiamento porta al ripetibile e perciò alla “morte” dell’arte. La mia installazione porta con sé un messaggio molto pesante e legato alla realtà di molti. Spero che chi guardi riesca a percepire nell’opera la pesantezza di queste azioni, nella speranza che vengano riconosciute con l’importanza che si meritano. La mia opera, oltre alla forte resa di giustizia che manifesta, è anche un incoraggiamento nel trovare il coraggio di farsi sentire.
Bio
Sarah Piergiovanni (1999, Arezzo) si è diplomata al liceo Scienze Umane “V. Colonna” ad Arezzo nel 2018 e attualmente frequenta il terzo anno alla Libera Accademia di Belle Arti (LABA) di Firenze, dipartimento Arti-Visive, Pittura. Nel 2017 ha partecipato al Concorso Nazionale Poesie e Filastrocche Una poesia dal cassetto 2 presso Associazione culturale Paidòn Pòiesis. La poesia Intrappolata con la quale ha partecipato al concorso è stata pubblicata nel libro Una poesia dal cassetto 2, a cura di Mario Dino. Nel 2019 ha partecipato alla mostra collettiva Oltre Ego, a cura di Tannaz Lahiji, nello spazio espositivo allo Zoe Bar di Firenze e, nel 2021, ha esposto nel dipartimento espositivo alla LABA per a Posted Project.